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nonostante oltre alla violenza ci siano delle grandi virtù. Era un ruolo pericoloso e un modo difficile di guadagnarsi da vivere. Comportava varie notti insonni, un sacco di automedicazioni. Comportava terrore e paura, eppure quei ragazzi lo facevano. Vorrei averne parlato di più. Sulla stampa, ai notiziari, sui quotidiani e nelle sintesi delle partite degli ultimi o li hanno trattati come delle marionette che non avrebbero dovuto giocare. E credo che alcune delle cose dette da persone estranee a quel mondo abbiano ferito profondamente alcuni di quei giocatori. E credo che le loro storie meritino di essere ascoltate. Forse vedono le cose sotto una luce diversa ma io ero disposto a tutto per realizzare il mio sogno e loro potrebbero guardare se stessi e dire: “Forse c’è dell’onore in ciò che fanno.” Il cento per cento di dedizione assoluta e la volontà di sacrificasi per le persone a cui si tiene. Perché questo… Perché questo non viene mai fuori? Sono cresciuto a New York City e sono stato il primo newyorkese a giocare nei New York Rangers, con . persone che facevano il tifo per me e che urlavano dicendo: “Vogliamo Nick.” Quando sono arrivato decisi che avremmo vinto. Ero un ragazzo e feci la promessa che se avessi giocato per i New York Rangers nessuno li avrebbe più toccati. Sognano di giocare nella National Hockey League. Sognano di giocare con i migliori. E non credo che dovremmo privarli di quel sogno. Ho avuto la possibilità di svegliarmi ogni mattina per pensando a un modo per poter essere migliore e più veloce. Ecco perché abbiamo vinto la Stanley Cup. Non c’è… Non c’è niente di meglio. Non l’avrei mai pensato negli passati a migliorarmi, cercavo sempre di tenere il passo. L’avevo visualizzato, immaginato e sognato, sperando giorno dopo giorno che sarei riuscito a sollevare la Stanley Cup. Da bambino si osservano gli altri che lo fanno in televisione. È una cosa che hai desiderato così tanto che quando lo fai ti rimane il dubbio che non sia reale. In un certo senso, è come un sogno. Ho pensato: “Sopra c’è il mio nome.” È incredibile poterlo dire. Sopra c’è scritto Dave Semenko. E rimarrà lì. Non c’è scritto tra virgolette “combattente”, “enforcer” o “scagnozzo” o cose del genere. Rinuncerei alla Stanley Cup per giocare in una squadra che non ha mai vinto per segnare goal? Non credo. Ho giocato partite, totalizzato minuti di penalità, preso parte a risse, di cui nella National Hockey League, ho vinto due Stanley Cup e detengo il record di penalità. Cosa posso desiderare di meglio? C’è una certa bellezza nell’inseguire un sogno potendo dire di fare qualcosa che ami per quattro o cinque che la gente normale non può capire. A cinque dal mio ritiro ci sono dei ragazzi che ancora mi chiamano per chiedermi come sto. E questo la dice lunga. Non li ho conosciuti bene, non sono cresciuto con loro. Ma mi chiamano. “Come va? Come te la passi?” Ricordano quando ero negli spogliatoi con loro a sanguinare, ridere o piangere. Ecco perché ne è valsa la pena. Se qualcuno mi avesse detto: “Affronterai più di